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CULTURA E STORIA

MERCOLEDI' 23 APRILE  2014
E' stato pubblicato un volume con il patrocinio e il sostegno economico dell'Amministrazione comunale di Ceglie Messapica.


Presentazione
Dopo la pubblicazione dell'opera Omnia, avvenuta nel 2010, il Seminario di Studio "Pietro Gatti e la modernità poetica" realizzata il 2 marzo, in occasione del Centenario della nascita dell'illustre cittadino e poeta cegliese, rappresenta un ulteriore importante tassello nel percorso che l'Amministrazione Comunale di Ceglie messapica intende portare avanti come segno concreto di gratitudine e riconoscenza nei confronti dell'uomo e dell'artista Gatti.
Il Poeta Pietro Gatti ha narrato con sincera genuinità e con particolare cura tutto ciò che riguarda la vita nella meravigliosa terra di Ceglie Messapica, nella sua terra amata.
Scegliendo il linguaggio poetico e l'idioma cegliese Gatti ha fatto si che, come per incanto, il nostro mondo, la nostra vita e la nostra realtà diventassero poesia.
Il Poeta ha dentro di se un bagagliaio culturale 'segreto', grazie a cui conferisce al dialetto un'armonia, un ritmo, una risonanza che riscattano la sua povertà e lo impongono come l'espressione più alta e naturale di profondi pensieri e di universali sentimenti.
Pietro Gatti con i suoi versi ha dato magistralmente nome all'amore, ala natura, alla fanciullezza, alla vecchiaia, al dolore. Ed è sufficiente leggere qualcuna delle sue opere per comprendere quanto la sua vita sia in simbiosi con la poesia, tanto da non poterne fare a meno neanche quando, ormai malato e in età avanzata, invece di fermarsi, chiede alla sua amata figlia di scrivere i suoi versi: e questo è indice di un uomo generoso e di un poeta autentico che non vuole lasciare incompiuta la sua opera.
Il Poeta Gatti incarna e rappresenta l'orgoglio e la sapienza di un popolo umile e forte, della sua e della nostra Ceglie.
La scia luminosa della sua poesia vive nella memoria di ieri e di oggi e rappresenta un punto fermo per rafforzare il nostro impegno per diffondere ancor di più l'opera letteraria del nostro mite e grande poeta dialettale.
Ceglie Messapica, dalla sede municipale, febbraio 2014

                                                                    Il Sindaco
                                                                  Luigi Caroli

Comitato scientifico
Luisa Cosi, Francesco De Paola, Eugenio Imbriani, Alessandro Laporta, Mario Marti, Alberto Marcos Martin, Josè Pedro Paiva, Antonio Romano, Mario Spedicato, Donato Valli


 La prima di copertina

Vien da dire, non senza un filo di retorica, che il “commiato” con Pietro Gatti è destinato a ripetersi nel tempo con sommo gaudio di quanti ritengono che la poesia dialettale abbia raggiunto con lui, nel Salento e ben oltre i confini del Salento, la vetta più alta ed estremamente interessante “per la poetica e la tecnica espressiva”.
La quarta di copertina 
       “U fatte ì ffurnute i Ccriste annand’a nnu: stàteve bbuene, ne vedime a ccase”.
Così a conclusione di “’Nguna vite” nel 1979.
Molti, Donato Valli in primo luogo, si augurarono che l’aggettivo “ultimo” fosse da intendere solo come il più recente, ultimo in ordine di tempo nonostante la volontà di non dire altro fosse stata ribadita dal poeta che riteneva esaurita e soddisfatta la necessità di “dire” solamente nel proprio dialetto.
A distanza di circa trent’anni, un richiamo urgente di Donato Valli pose fine ad una sorte di oblio, in cui era caduta la figura di Pietro Gatti, preludio dell’apertura dello scrittoio del poeta(14 maggio 2008) contenente liriche inedite, inserite nel secondo volume dell’Opera Omnia pubblicata dall’editore Manni(marzo 2010).
Il seminario di Studio in occasione del centenario della nascita del poeta, doveva essere anche l’atto conclusivo della vicenda editoriale di Pietro Gatti, il suggello e la consacrazione di un cammino poetico per il quale critici illustri hanno individuato ascendenti come Pascoli, Foscolo, Leopardi, D’Annunzio, oltre echi sicuri rivenienti dalla civiltà, dalla letteratura e dal sentimento dell’Antica Grecia.
       Ma il “commiato” era destinato ad essere ancora procrastinato.
Quando la famiglia Gatti (per me Mimma e Michele per antica amicizia), mi invitò con mia somma gioia, a partecipare al seminario di studi, mi anticipò che nella biblioteca di famiglia giacevano faldoni con centinaia di inediti sfuggiti ad una prima, sia pure accurata, ricerca.
Alla notizia seguì l’invito ad occuparmi di riordinare tutte la materia disponibile e darne notizia al Convegno. E così è stato.
Le istituzioni accademiche e gli studiosi al quali Pietro Gatti è stato particolarmente legato nel corso del suo percorso poetico sono a conoscenza di queste nuove scoperte e si sono dichiarati disponibili ad una analisi critica di quanto ancora inedito onde impedire che anche il più piccolo frammento di poesia “riposi” in un giaciglio senza speranza di vedere la luce.
Il lavoro sugli inediti, esaltante ma lungo e faticoso, procede ancora sotto la guida autorevole, affettuosa ed amichevole di Carlo Alberto Augeri, critico letterario ed amico di Pietro Gatti.
       In questa sede non si entra volutamente nel merito dei singoli componimenti soprattutto perché per chi scrive, non essendo un critico di professione, sarebbe oltremodo rischioso parlare pubblicamente della poesia di Pietro Gatti: ad altri spetta questo compito.
       Voglio aggiungere, a conclusione di questo mio intervento, la presenza di una ricchissima corrispondenza, lettere, spedite e ricevute, che contribuiscono a delineare con maggiore puntualità una personalità, quella di don Pietro, così pudico e così ritroso a parlare pubblicamente di se stesso se non attraverso la sua poesia.
       Un anticipazione mi sembra giusto e doveroso darla: alcune pagine vergate nel Luglio 1992 cui lo stesso don Pietro dà un titolo:
“Delucidazione psicologica a proposito del componimento/ rendiconto della mia vita e di altri”.
1.      Verso i quindici anni di età lasciai il seminario diocesano di Oria, dopo essere stato in quello francescano di Barletta, per caduta verticale e totale della fede religiosa, senza essere a qualsivoglia influenza esterna ambientale o familiare.
2.      Ho nutrito, tuttavia sempre sincero e incondizionato rispetto anche per le fedi, pure religiose, altrui, col mio generale spirito di comprensione e di tolleranza, a condizione ch’esse non fossero strumento d’inganno e di sopraffazione.
3.      Sono stato sempre convinto, nel generale, che la fede religiosa, quella in un essere metafisico, quella di qualsivoglia credenza in un qualsiasi Dio base e vertice di organizzazioni ecclesiastiche, non è oggetto delle scienze matematiche, di speculazioni filosofiche, di disquisizioni scolastico-cebebralistiche, di qualsivoglia ricerca scientifica, di impulso d’arte. Può benissimo essere teista o ateo il sommo scienziato, il sommo speculatore, il sommo artista, senza possibilità alcuna di condizionamenti o di riduzioni, proprie o altrui.
4.      Può essere suddiviso il cervello umano, esso perché il più sviluppato e specializzato, oppure qualsivoglia grumo di altra materia in micron di micron, possono essere posti in uso microscopi o telescopi i più potenti e sofisticati, possono essere individuati buchi neri in galassia distanti in misure inimmaginabili, possono essere presi o sottoposti in considerazione le presenze più patenti, più orrende del limite, della imperfezione della natura e dell’uomo/bestia, del MALE, ma Dio sfugge a tutto, a qualsivoglia osservazione spettroscopica. Ché l’idea di Dio non appartiene alla razionalità, neppure la più corposa, sottile, evanescente ai limiti con la intelligenza. “Credo ut intellegum” sì, “intelletto ut credam” no, e mi ritengo libero di sostenere che tale affermazione ultima è quintessenziale, purissima, assoluta follia o demenza. Altri, liberissimi, a loro volta, di sostenere il contrario. Non perdo nulla.
5.      Le mie persone di sventura non sono ovviamente miscredenti ed io ho avuto il vizio o la virtù o l’istintività o la sensitività o la “necessità” di non osservare e rappresentare dall’esterno e da posizione distinta i miei personaggi, non fantastici, tanto meno fantasiosi, ma di sentirli totalmente miei, di essere “me”, come io sono “loro” e di non fare a meno di considerarli reali e autonomi, quale io sono, e di avere l’obbligo morale, sentimentale, di presentarli quali sono, il che fa tutt’uno ovviamente col mio sentire.
6.      Ho preso la persona di San Francesco d’Assisi per contrapporla drasticamente, radicalmente all’uomo/bestia/male, avendola sempre sentita caratteristica e caratterizzante. Diversi anni addietro ricomprai i “Fioretti” perché mi sentivo spinto a farne una sorta di parafrasi in versi. E sento e giudico che il suo “Cantico” sia una delle vette dell’arte, nella sua semplicità, nella sua quotidianità. Per inciso, l’Arte Arte non è l’arrampicamento sugli specchi, per quanto artistici a loro volta essi siano.
7.      In uno dei lunghi componimenti che saranno parti del tutto mio, non orgoglioso  o presuntuoso, assurdo sì, forzato e insincero no, vangelo apocrifo, qualifico “folli” Gesù Cristo e i suoi famigliari non per irriverenza o snobismo cretinissimo o dileggio o insulto, ma in conseguenza della mia laicità. Ricordo di aver letto, ma non so più dove, e senza volermene fare alibi o giustificazione o pezza d’appoggio, (di passaggio, non ho mai e poi mai giurato “in verba magistri”, quale esso fosse o tale ritenuto, ché se ho errato è stato solo per mia naturale deficienza); ricordo di aver letto, dicevo, di un mistico, cristiano o propriamente cattolico, che chiamava chiarissimamente Gesù Cristo “folle” oppure parlasse di “follia della Croce” non so più bene. E ho già detto che i miei personaggi sono autonomi e nello stesso tempo “me”.
      E mi sarei dimostrato senza rimedio uno “psicopatico” se avessi inteso scrivere un saggio versificato sull’ateismo o ridottamente su quello mio personale, prendendo sostanza e forma dalla rispettabile (almeno!) fede religiosa altrui.
Sento ch’è lurida ipotesi, ma l’imbecillità/meschinità/fariseismo dell’animalità umana è senza fondo, che taluno voglia consigliarmi di “scherzare con i fanti e di lasciar stare i santi”.
Il mio sentimento della santità religiosa è fortunatissimamente, per me, agli antipodi di taluno dei pigmei intellettivamente e psichicamente.
                                                                       casa, luglio del ‘92
                                                                       Pietro Gatti

Mi auto esonero da ogni tentativo di interpretazione perché, a mio parere, ogni nostra interpretazione sarebbe una costruzione superflua: ciascuno può e deve risolvere i problemi posti, se tali gli appaiano, con la sua propria sensibilità.
                                                                                                            Isidoro Conte

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