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NOTA DELL'AVVOCATO AUGUSTO CONTE

SABATO 19 LUGLIO 2014
Caro Direttore,
alla fine del 2013 hai pubblicato, traendolo da Brindisi Report, una mia nota di "taglio" giornalistico relativo al Disegno di Legge 17.12.2013, che introduceva la motivazione delle sentenze solo a richiesta di parte e previo pagamento. Hai riprodotto l'intervento anche sul noto annuario 2013 di Cronache e Cronachette…
 L'articolo, integrato e adeguato al tipo di Rivista, e che ti allego, ha avuto risonanza nazionale essendo stato pubblicato dalla Rivista Gli Oratori del Giorno, per le valutazioni critiche di natura  tecnico-giuridica in esso contenute sul Disegno di Legge e per il richiamo da me solo fatto dei precedenti storici, con il commento introduttivo del Direttore di quella Rivista, Avv. Titta Madìa jr..
 Ti segnalo quanto innanzi per consentire agli osservatori del settore e ai Tuoi lettori di sapere come è andata a finire (anche per "calmare" le arrabbiature dell'Avv. Madìa, discendente di una prestigiosa famiglia di Avvocati): nei giorni scorsi il nuovo Ministro di Giustizia ha "ritirato" il Disegno di Legge!!!.
 Cari Saluti.
 Augusto Conte.
Copertina della rivista

Cosa si sono inventati per ridurre il carico di lavoro sui magistrati che sono tanto stanchi, perché lavorano indefessi, guadagnano due baiocchi e si sacrificano, eroici, per la comunità?
La motivazione delle sentenze diventa un”optional” e, come l’aria condizionata o la vernice metallizzata, te la devi pagare.
Ai tempi dei Borboni, vi dice il “grande” Avvocato Conte, storico del diritto meridionale, già non era così e l’obbligo della motivazione fu introdotto da questi monarchi assolutisti.
E noi che abbiamo reso un “optional” che siamo?
Conte rispondi tu, che a me escono solo parolacce!
                                             Titta Madia jr


Sono rimasti in pochi quelli che considerano retrograde e incivili le leggi borboniche, per molto tempo sinonimo di arretratezza e incultura; da alcuni decenni ormai il luogo comune è sconfessato, da storici del diritto (posso citare uno studioso e osservatore straniero, autore della "Teorica del Codice Penale", trattato di diritto comparato tradotto in italiano nel 1853, l'avvocato ai Consigli del Re e alla Corte di Cassazione del Belgio, avvocato Adolfo Chauveau, secondo il quale le leggi borboniche erano le migliori in Europa) e scrittori (posso citare tra questi Leonardo Sciascia); prima ancora della codificazione "francese" nel Mezzogiorno d'Italia del 1806 e quindi di quella borbonica del 1819 dopo la Restaurazione, una legge "borbonica" del 1774, come ricorda anche Giuseppe Pisanelli nel breve trattato sui "Progressi delle Leggi Civili in Italia" del 1871, introdusse l'obbligo della motivazione delle sentenze, come segno di grande civiltà, volto anche ad evitare gli abusi per le decisioni immotivate.
Dai Borboni alla Costituzione repubblicana
La motivazione delle sentenze, oltre a costituire un obbligo di legge di rango superiore, previsto dalla Costituzione Italiana che all'art. 111, comma 6, stabilisce che "tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati", costituisce una conquista moderna di alta civiltà culturale, sociale e giuridica: siccome le sentenze sono pronunciate "in nome del Popolo Italiano" non solo le parti private interessate, ma anche la collettività deve sapere perché Tizio o Caio sono stati assolti o condannato, perché Sempronio o Mevio sono risultati vincitori o soccombenti nei giudizi, non solo per un controllo endoprocessuale (attraverso i successivi gradi di giudizio) ma anche per una verifica sociale.
Lo Schema di Disegno di legge Delega varato dal governo il 17 dicembre 2013, recante “disposizioni per l’efficienza del processo civile” ha eliminato al numero lett. b), comma 1 dell’art. 2, l’obbligo della motivazione imposto dalla Carta Fondamentale per tutti i provvedimenti, introducendo la facoltà per le parti interessate, di richiederla a pagamento (versando “una quota” del contributo unificato dovuto per l'appello o il ricorso per cassazione anche se poi la sentenza non viene impugnata).
Se qualcuno volesse usare ancora il paradosso di "leggi borboniche" per le norme che rivelano segno di inciviltà e arretratezza, l'occasione è fornita proprio da questa "improvvida e illiberale" (per usare espressioni di Francesco Carrara) previsione normativa, che non solo è gravemente "sospetta" di incostituzionalità, ma compie passi indietro di oltre due secoli sul cammino della civiltà, sociale e giuridica.
Finisce la giurisprudenza
Senza la motivazione delle sentenze non sarà più possibile formare una "giurisprudenza", che spesso, con la creazione del "diritto vivente", anticipa provvedimenti legislativi sulla tutela dei diritti (si pensi alla introduzione appunto nel diritto vivente del danno biologico attraverso la giurisprudenza, prima di merito e poi di legittimità e della Corte Costituzionale con la famosa sentenza 14.7.1986, n. 164 frutto della speculazione giuridica del "nostro" Renato Dell'Andro).
Possiamo considerarci "fortunati" di vivere in un paese di civil law, perché se fossimo in un paese di common law, come quelli anglosassoni, in cui nei giudizi vale il precedente giurisprudenziale e non la codificazione, non avremmo più un riferimento per le successive pronunce se non sulla base della giurisprudenza fino ad ora formatasi, mentre è notoria la evoluzione delle speculazioni interpretative che adeguano le valutazioni giuridiche alle nuove situazioni di fatto riconoscendo nuovi diritti, personali e patrimoniali, desumibili dall'Ordinamento Giuridico, che si formano nella evoluzione della società, prima ancora che vengano normativamente riconosciuti.
Il diritto assoluto alla motivazione
E, fatto ancora più grave, la previsione normativa - adottata prescindendo dal parere dell'Avvocatura che è sempre più unica portatrice e garante della tutela dei diritti della collettività per il ruolo sociale che svolge come riconosciuto dalla legge 31.12.2012, n. 247 sul nuovo Ordinamento professionale - che pone un onere economico per ottenere l'affermazione di un diritto assoluto, quale quello di conoscere le ragioni delle decisioni giudiziali, dovrebbe avere lo scopo di accelerare l'esito dei giudizi con pronunce senza motivazione, rimesse all'arbitrio del giudice, privando le parti interessate e il Popolo Italiano di un diritto fondamentale, riconosciuto espressamente dalla Costituzione Italiana, e desumibile dai principi fondanti della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo" del 10 dicembre 1948 e dalla Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali approvata in Italia il 4 novembre 1950.
Anche grave, e corollario della precedente, è la previsione normativa contenuta nel n. 2), lett. b), secondo la quale la motivazione dei provvedimenti che definiscono il giudizio in grado di appello possa consistere nel richiamo della motivazione della sentenza impugnabile, non solo perché la sentenza di primo grado può essere priva di motivazione, ma anche perché si aggiunge al “nulla un altro “nulla”.
Negli operatori del diritto il sospetto che si stava giungendo a questo risultato era stato percepito nei piccoli passi che si stavano compiendo, con i quali già era stata prevista la "motivazione succinta".
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Non è questo né il momento né lo spazio di discussione: ma è certo che non è percorrendo questa strada che si risolvono i problemi della giustizia per i quali, almeno per una volta, sarebbe opportuno consultare le rappresentanze istituzionali e associative dell'Avvocatura, che vivono nelle "trincee" dell'umanità forense.
Avv. Augusto Conte – RIVISTA “GLI ORATORI DEL GIORNO”



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