Visualizzazioni totali

Recensione al libro di Vincenzo Gasparro

Sabato 29 Agosto 2015












TUTTE LE POESIE DI VINCENZO GASPARRO: UN CANTO POETICO SULLA BELLEZZA, SULL’AMORE E SULLA “OSCURA NECESSITA” DEL NOSTRO ESSERE.


Di recente è stato pubblicato dalla Book Sprint Edizioni il libro dal titolo “Tutte le poesie” del poeta cegliese Vincenzo Gasparro, contenente le liriche fondamentali composte dal 1994 al 2012 con inediti e con una nutrita testimonianza di saggi dedicati alle varie sillogi di questo volume.
Fin dalle liriche di “Taccuino”, il poeta offre inedite fascinazioni che rivelano spunti di una intensa originalità nel trasporre i fenomeni naturali in un assorto inventario di caleidoscopiche apparizioni di parvenze intermittenti di fulgori e balenii di una visione culminante in una incantata resa georgica, allusiva e mitica. La poesia del Gasparro dà un’anima ed una voce calda e singolare alle cose: tutto sembra acquistare un’eccelsa bellezza con un tripudio inebriante di colori e suoni, in accensioni brevi ma vertiginose, per poi dar luogo ad un grigiore di toni spenti per la corrosiva incidenza del tempo che conduce alla morte.
La Murgia rivive in questo poeta con i suoi smaglianti colori, i suoi profumi e le forme leggiadre dell’ameno suo paesaggio naturale, diventando quasi il simbolo di una felicità primigenia del suo popolo e svelando del poeta un segreto legame, come una rimemorazione nostalgica ridestante antichi e struggenti candori di un passato edenico, mentre si avverte sempre più la presenza terribile del tempo che passa e della morte avanzante. Fra le antitetiche realtà della bellezza della natura e della vita e la morte, nella sua poesia il Gasparro ricerca sempre il filo misterioso e segreto di una loro possibile unione o sintesi, partendo da quell’ “obliquità dell’essere”, che gli detta pur tuttavia i versi più avvincenti e poetici.
Indizi di quell’ “oscura necessità”, che ci opprime, si possono cogliere fin dalle prime sillogi: la sera che “odora di morte” (p. 24 del libro), la sete di eternità (p. 24), il senso della morte (p.30 e p. 83), il dolore cosmico (p. 111 e p. 179) con “La morte (che) annienta sogni /d’onnipotenza ma rantoli / di dolore d’un bambino / urlano contro Dio” (p. 117).
Con le sillogi successive la fiducia nella vitalità del tutto è incrinata però da lacerazioni e da dubbi per l’imperversare del dolore e del male riversato soprattutto sul cuore innocente dei bambini. Il maggior scavo interiore e il brivido e lo scacco della “creazione incompiuta”, danno ai suoi versi una forte accensione stilistica ed ontologica ed un senso religioso e teologico.
Il Gasparro così accede ad una poesia inedita che aderisce vigorosamente al senso intimo e doloroso della vita, il cui andirivieni tra vuoto subìto e i sussulti della vita, non si pone mai come un inerte oscillare tra l’essere e il non essere, per la ragione che il processo di espansione tematica verso l’assoluto, ponendosi come una inesausta ricerca cognitiva a carattere intuitivo, vive di incessanti ed intuitive commisurazioni a carattere “verificale”, sublimatesi nella stesura di versi coinvolgenti e poetici, densi sovente di un francescanesimo misto al senso del mistero e ad una sentita empatia compassionevole verso tutte le creature naturali.
La bipolarità dell’esistenza in realtà assume in questo poeta una forte discontinuità dell’Essere, che è un morire e un rinascere in ogni istante, come dei “flashes” di attimi della coscienza proiettati nei balenii transeunti di una apparizione che subito scompare. Così la discontinuità dell’Essere e la sua ambiguità si rivelano nelle commisurazioni intercorrenti tra il nichilismo della presente stagione e i valori tipici di un perduto passato, tra l’attuale scissione dell’io e l’unitarietà coscienziale smarrita, tra il domino selvaggio del pianeta Terra e l’amore per tutte le creature, tra la società della plastica e il suo futile edonismo e i veri sentimenti che albergavano nell’anima priva di lati oscuri e di peccati, tra la città che “pulsa d’angoscia” (p. 137) e il “tripudio dei colori” (p. 177) dello suo “quieto paese”.
Eppure, il poeta non si stanca mai di ricercare il senso della felicità e della trascendenza dell’uomo. “Signore che cavalchi lampi / e tuoni non t’accorgi ch’è / finito il tempo dei gelsomini / in un mondo di latta e plastica. / Negletta vaga la poesia / in cerca d’infinito” (p. 96).
Non a caso sono stati riportati questi versi, bensì per evidenziare il contrapporsi violento del tempo dell’unitarietà e valenza dei sentimenti con il mondo attuale corrotto e disumano in balìa dei ciarlatani. In effetti il loro contrapporsi si origina da una commisurazione intuitiva dei loro aspetti, che poi la Poesia, quale grande forza commisurativa del sentimento, ne ricerca il loro eventuale punto d’incontro o una loro probabile sintesi.
Avvincono del resto di questa silloge antologica “Il canto di Orfeo” (Nel mattino disperso, 2004), “La cura di Gaia”, “La lanterna di Diogene” e, soprattutto, l’eccelso “Mediterraneo”, facenti parte del volumetto dal titolo “La cura di Gaia” del 2006, con la storia, la civiltà e gli scambi mercantili e culturali dei popoli che l’hanno interessato, Una poesia seducente che esalta l’amore fra i popoli in nome del progresso e della pace, mentre l’ultima lirica di p. 198 avvince per le note dolenti che riguardano la natura e la condizione esistenziale dell’uomo di oggi.: “non siamo capaci di guardarci dentro / leggere il nostro lato oscuro mentre / affoghiamo in deliri e paure e siamo / dominati da maghi e ciarlatani…”.
Gasparro nelle sue più recenti opere è pervenuto ad una rimarchevole capacità espressiva e ad un’apprezzabile maturità artistica, rivelando la struttura di un verso fluido di una terrestrità sensuale e visionaria, soffuso di una estrema grazia e delicatezza, basato sulla dicibilità di parole essenziali che condensano la profonda intimità del suo sentire, fatto di stupori intensi e di commisurative riflessioni intuitive, che gridano la disperazione e l’angoscia dei nostri giorni, con la fede inesausta di un incessante ricercare per scoprire l’essenzialità di una possibile verità e di un eventuale spiraglio di una trascendenza dell’uomo, poiché – afferma il poeta – “Siamo costretti / a continuare la creazione” (p. 146) con la speranza che “…verrà il tempo che al desco siederà l’ospite / dagli occhi sinceri accenderà la luce / della lampada” (p. 204), in forza di quella poesia che alimenta la speranza dell’attesa di un Dio che “apre la porta / all’inatteso e l’imprevisto fonte di speranza” (p. 212), nella consapevolezza che “tutto è perfetto nel suo limite tutto / ci rimanda alla perfezione più grande” (p. 188), dal momento che la speranza del poeta viene riposta nella consapevolezza che “S’azzera il tempo / in anfratti di dolore / di creature nude. / Sgorgheranno nuove metafore / al tocco del simandro 1.” (p.96).

Vero poeta, il Gasparro, rivela il merito di affrontare e trattare la bipolare terribilità dell’esistere con un canto che placa l’angoscia e la nevrosi, rivelando la fremente tensione di un pressante anelito di potere attivare una inedita sublimazione, che instauri una cognizione accettabile del dolore, un obiettivo significato della vita e, soprattutto, la trascendentale identità della dimensione spirituale dell’uomo.

Andrea BONANNO



Nota:

1. Il simandro, usato a Bisanzio nel decimo secolo, è uno “strumento” consistente in una sbarra di ferro o di legno che veniva percossa per richiamare i fedeli, sostituendo la funzione di una campana. In una canzone popolare dal titolo “Zeimbekiko” del 1935 di Markos Vamvakaris “Frangos”, nato nel 1905, si parla di simandri che “rimbombano” per alludere alle sbarre delle prigioni, il che nella poesia del Gasparro acquista un doppio significato religioso e laico, nel senso che la coscienza dell’uomo attuale, simile ad una prigione per via dell’ “oscura necessità” che l’opprime, è chiamata a far rimbombare, come un simandro, il suo anelito a ricercare la via della liberazione e di una possibile trascendenza.

Nessun commento:

Posta un commento