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I Racconti di Damiano Leo

Venerdì 15 Gennaio 2016

IL PAPPAGALLO

Come a quasi tutti i bambini della sua età, anche alla piccola Maria piacevano gli animali. Specialmente quelli di piccola taglia. Fosse dipeso da lei avrebbe trasformato la sua casetta in un giardino zoologico. Papà, tuttavia, di avere animali in casa proprio non ne voleva sapere. Per lui quadrupedi, o portatori di piume, peli o code, avevano un senso solo nei rispettivi habitat naturali: i pesci in mare, i serpenti nella giungla, cani e gatti nei campi, gli uccelli liberi nei boschi. Per mia madre, più permissiva, qualche eccezione ci poteva essere: un gattino, ma uno solo e per pochi giorni, un canarino o un pesciolino rosso acquistati alla fiera del Crocifisso, giusto per accontentare noi bambini e farci porre fine al concerto per pianti e singhiozzi finti messi su per intenerire. Per il nonno che, da quando la sua amata sposa lo aveva salutato per sempre, viveva con noi ed era allettato, gli animali “accasabili” erano solo cavalli, pecore, galline e maiali, ma debitamente recintati nel suo podere di Fedele Grande. Podere ormai passato a mani estranee. Quindi anche per lui, niente animali, né tantomeno insetti, se si fa eccezione per qualche pulce che, suo malgrado, qualche volta gli capitava di ospitare tra i radi capelli.

Maria sarebbe stata disposta a qualsiasi sacrificio, pur di avere un animaletto tutto per sé. Ai suoi lo aveva detto e ridetto in tutte le lingue. Ma da quello orecchio sua madre e, soprattutto, suo padre che doveva mettere mano al portafoglio, proprio non volevano ascoltare. Fino alla vigilia dell’Epifania, di quel lontano ’65, non c’era stato verso di “convertire” nessuno. Regali, in verità, ne aveva ricevuti, ma sempre e soltanto di tutto, fuorché animali. è risaputo che, il giorno prima dell’Epifania, i genitori si appartano per convenire circa il regalo da fare ai propri pargoletti. A Maria, giusto quel giorno di tanto tempo fa, capitò di origliare dietro la porta dove i suoi, sotto voce, si accordavano sui regali da far trovare nel camino, il giorno seguente. Le era parso che i genitori avevano parlato di scarpe, probabilmente per Antonio, che aveva le sue ormai distrutte; di sciarpa, probabilmente per Cosimo, che diceva d’aver sempre freddo al collo; di torroni, probabilmente per Giuseppe, che era il più goloso della casa. Maria, questa è la cosa più interessante, anche se non ne era proprio sicura, aveva sentito anche la parola “pappagallo”. S’affrettò a togliere l’orecchio dalla porta. Quel nome le rovesciò addosso una strana ed improvvisa contentezza. Probabilmente, mamma e papà, si erano decisi, una volta per tutte, ad accontentarla. Un pappagallo, magari uno di quelli che dagli e dagli parlano pure. Già se lo immaginava e non voleva, la piccina, farsi sorprendere ad origliare. I suoi avrebbero potuto ricredersi. Così se la dette a gambe e si infilò sotto la coperta, a fingere di dormire. A sognare ad occhi aperti il suo pappagallo. Uno di quegli “uccelli esotici, multicolori, caratteristici per la capacità di ripetere suoni o parole”, come li definiva il suo Devoto – Oli.

La piccola, nel buio della stanza, pensava e ripensava a quello che era riuscito a sentire origliando dietro la porta.
« Pappagallo, sicuro, avevano detto pappagallo. – ripeteva Maria, con gli occhi sgranati nel buio – Hanno detto proprio pappagallo, pappagallo… » e la piccola si addormentò, sognando di accarezzare il suo regalo. Il suo pennuto pappagallo. Finalmente una Befana da ricordare.

Il sole non si era ancora levato, ma Maria e i suoi fratelli, già sgambettavano davanti al camino, dove troneggiavano colorati pacchettini. I regali della Befana. Mamma Angela, come faceva sempre, si incaricò della distribuzione dei regali. Il nonno, a letto di là, forse tendeva l’orecchio nella speranza che una briciola toccasse pure a lui. La Befana, si sa, è sempre imprevedibile. Per quell’impicciona di Maria la sorpresa era ridotta al lumicino. Lei sapeva più o meno già tutto: un paio di scarpe per Antonio; una sciarpa per Cosimo; due torroni di Benevento per Giuseppe. Nel camino non rimase che una scatola, una grossa scatola.
« Non temere, Maria. – sussurrò la mamma – A te dopo, quando non ci sono loro » e con la mano bassa indicò i fratelli festanti.

In quella scatola doveva esserci il pappagallo e perché per Maria la Befana doveva “venire dopo” ? Lei voleva il suo pappagallo, la sua Befana e la voleva subito. Non poteva aspettare. Si avventò prontamente sulla scatola e, in un baleno, la ridusse in poltiglia. Il suo regalo, voleva il suo regalo. Dalla scatola, come per incanto, saltò fuori sì, un pappagallo, ma era uno di quei “recipienti di cui si servono i malati di sesso maschile per orinare restando a letto”, come recita il su citato dizionario.
« Questo è per il nonno » sentenziò la mamma.


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