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I racconti di Daminao Leo

Domenica 28 Febbraio 2016

L’ANGURIA

         Il buio della notte, ancora,  avvolgeva sovrano ogni cosa. Una pallida luce sussurrò il suo tremulo “eccomi” in camera da letto, dove moglie e bambino sognavano chissà quali altri mondi. Ripiegando su se stesse, lentamente, coperta e lenzuola, recuperò le sue pantofole smesse poche ore prima. Era già l’ora dei fornai e lui doveva andare. Armeggiò in cucina, strofinandosi gli occhi, per prepararsi un caffè. Come ogni giorno doveva dargli la carica, quel poco di caffeina, fino alle due, due e mezzo del pomeriggio. Prima di uscire restituì il buio alla camera matrimoniale e si portò lentamente in quella di  suo figlio. Gli riaccomodò la coperta color verde militare. Si accostò a lui e, dopo avergli sfiorato la fronte con la mano, indietreggiò guadagnando l’uscita.
         Al forno recuperò, tra le tante, la cesta che doveva fargli compagnia nella seconda mattinata. Finalmente le sue spalle, già consumate dall’antica fatica, accolsero cesta e pane. Una dozzina di botteghe alimentari, sparse per il paese, li attendevano.
         Tra una stretta di mano, un sorriso, una chiacchiera aveva distribuito tutto il suo carico. Era approdato in piazza sant’Anselmo, dove l’ultima salumeria aveva appena ricevuto il suo pane fumante. Suo figlio, quello al quale aveva riassettato il letto prima di uscire di casa, passava di là di ritorno dalla scuola. Prontamente gli dette voce. Il ragazzo, felice, lo raggiunse. Non gli capitava quasi mai d’incontrare suo padre intento alla consegna del pane. Gioì, il figlio, della situazione. Gli parve di entrare ancora di più nelle grazie di suo padre. Se ne rallegrò.
                               Proprio attaccata alla bottega del pane sciorinava la sua mercanzia un fruttivendolo, gestito, amorevolmente, da una donnetta non più alta di un metro e cinquanta. L’uomo vi entrò e ne uscì carico di una grossa anguria. L’accomodò tra le braccia del figlio, raccomandandogli di portarla immediatamente a casa. L’avrebbero gustata a cena, se la madre lo riteneva opportuno.
         Libri e melone non sembravano andare tanto d’accordo. Il ragazzo cercò più volte, dirigendosi verso casa, di sistemarsi meglio il peso. Sempre più pesante, in verità. Cercò di portare più su i libri, senza sfilarli completamente dalla stretta del braccio sinistro. L’anguria rotolò in avanti. Si piegò, il ragazzo, sulle ginocchia. Il grosso frutto raggiunse, inavvertitamente, l’asfalto. Un tonfo secco e si spappolò. Dell’anguria non rimaneva che una grossa macchia d’acqua tempestata di grossi semi neri e, qua e là, schegge di bucce miste a rossi ciuffetti gocciolanti. Niente più melone.
                               La gioia d’aver incontrato il padre al lavoro, il piacere di portare a casa una grossa anguria mutarono subito in tristezza. Dalla gioia al dolore in meno che non si dica. Ma quel ragazzo, se lo è ripetuto per anni, ricorda ancora il pianto inconsolato che lo accompagnò fino alla sua dimora, dove la madre gli fece capire che, certe volte, i padri eccedono, in bontà.

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