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I Racconti di Damiano Leo

Domenica 13 Marzo 2016
 
LA DAMIGIANA

         In casa eravamo nove: sette fratelli, mia madre e mio padre. Al tempo di questa storia non era ancora nato Rocco, altrimenti mia madre, nella turnazione di chi doveva andare a riempire l’acqua alla fontana, avrebbe messo anche lui.
         Sette fratelli, dunque, per sette giorni. L’unica discussione possibile doveva essere quando tocca a me e quando tocca a te. Invece, con il passare dei giorni, fra fratelli ci si rimbeccava  perché ad andare all’acqua era sempre il più piccolo, cioè io. Per fortuna il pozzo di casa era sempre pieno. Ma quell’acqua non poteva certo essere usata per bere. Non la si riteneva abbastanza pulita. So solo di mio padre che ne faceva un uso indiscriminato. Ho scoperto poi che lo faceva per lasciare a noi figli l’acqua potabile. «Di calcoli renali – diceva – non è mai morto nessuno», lui ci è andato molto vicino, ma cosa non si fa per un figlio.
          Al pozzo, normalmente, attingeva mia madre per integrare l’acqua sul fuoco, per lavare panni e pavimenti. Quella che rimaneva nel secchio con il quale aveva messo a lucido tutta la casa, volava irrimediabilmente sulla strada comunale, per abbassare la cresta alla polvere.
         L’ora della cena si avvicinava inesorabile, quella volta. Mia sorella –poteva farsi i fatti suoi, una volta tanto- si accorse che mancava l’acqua nella damigiana, in quella che usavamo per bere. La stessa che avevano usata per decenni i miei zii materni. La aveva ereditata mia madre da sua madre, che poi era mia nonna. Aveva, quindi, almeno per noi, una certa importanza. Avevano perso il conto della turnazione. Tocca te, no tocca a lui, io sono andato l’altro ieri, e io prima di te, mandate qualcun’altro eccetera, eccetera. Per farla breve, come spesso succedeva, dovevo andarci io, alla fontana. Mia madre insisteva su di me, anche se ero stato l’ultimo ad ottemperare all’incarico. A me sembrava un’ingiustizia, una vera ingiustizia. Non potevano approfittare così della mia bontà e poi, come loro, i miei fratelli, anch’io, alla fontana, proprio non ci volevo andare. Non ci volevo andare, ma ci andai. Bastò una carezza di mia madre. Mi occorsero tutte e due le braccia per sollevare il recipiente. Magrolino com’ero non potevo far diversamente. Una volta pieno avrei messo più forza e andai, mio malgrado.
                               Aspettai, sbuffando, il mio turno. Di sera, alla nostra fontana, c’era sempre più gente  che al mattino. Mille impegni tenevano lontani uomini e ragazze. Toccò finalmente a me. Lasciai che il mio recipiente di vetro color verde traboccasse. Così si lava pure, pensai. Ma non avevo mai creduto che sarebbe potuto scivolarmi di mano. Mi scivolò di mano.
                               Nessuno mai avrebbe potuto rimettermi in sesta la damigiana, color verde di mia madre, che era stata di sua madre, che poi era mia nonna.
         Nessuno mai, probabilmente, mi avrebbe creduto che la damigiana si era rotta da sola e non perché alla fontana, quel giorno, quel maledetto giorno, proprio non volevo andarci. Rientrai piangendo. Raccontai tutto per filo e per segno, ma non ho mai capito se fui creduto.

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